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Corridori umanitari, dalla Libia si regolarizza il flusso di migranti

Dalla rotta del mare a quella del cielo. La prossima sfida dell’immigrazione per il nostro governo si basa sulla costruzione di corridori umanitari nel Mediterraneo, una svolta che si affida ad un controllo sempre più avanzato del traffico illegale di esseri umani. Un traffico che, purtroppo, ha provocato nel 2017 oltre tremila morti nel Mediterraneo, secondo i dati dell’OIM (l’agenzia ONU che si occupa di immigrazione), a fronte, dall’inizio del 2018 di oltre 400 persone salvate nello stesso mare. Lo scorso anno si è concluso importanti fattori chiave in questo ambito: una diminuzione importante delle partenze dei migranti dalla Libia di oltre il 34% rispetto all’anno precedente; l’intervento dell’Onu nei campi libici e proprio l’apertura del primo corridoio umanitario legale che, già due giorni prima di Natale, ha consentito di portare in Italia con un volo di stato 162 migranti in “condizioni di fragilità” sottratti ai centri di detenzione di Tripoli. Un evento ritenuto da molti eccezionale a fronte di un grande impegno da parte delle autorità italiane del governo libico.

Coloro che scappano dalla guerra non arriveranno con i gommoni degli scafisti, ma con gli aerei degli Stati democratici in cooperazione con le organizzazioni umanitarie” aveva affermato a Dicembre il Ministro dell’Interno Minniti. È la prima volta, infatti, che si apre un corridoio umanitario di questo genere per i richiedenti asilo che si trovano in Libia, e la notizia è stata celebrata dal governo italiano come “un gigantesco passo in avanti” per risolvere il problema del flusso irregolare di migranti dal Nord Africa. I corridoi umanitari sono un programma di accoglienza solo italiano, modello unico in Europa per ora, scaturiti dalla collaborazione di diverse realtà come il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale, il Ministero dell’Interno, la Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese e società civile. C’è da dire inoltre che i corridoi sono finanziati totalmente dalle associazioni che li hanno promossi, le quali si occupano inoltre di inviare sul posto dei volontari che, prendendo contatti diretti con i profughi nei paesi interessati dal progetto, predispongono una lista di potenziali beneficiari da trasmettere alle autorità locali e alle autorità consolari italiane, che dopo il controllo da parte del Ministero dell'Interno, rilasciano dei visti umanitari con “Validità Territoriale Limitata”, validi dunque solo per l'Italia. I profughi sono accolti per un anno in strutture o appartamenti, a spese delle associazioni coinvolte nel progetto, che curano anche la fase dell'integrazione, con corsi di lingua italiana e corsi di formazione. I 162 richiedenti asilo, di origine eritrea, etiope, somala e yemenita, sono stati quindi prima radunati a Tripoli dall’UNHCR (agenzia ONU per i rifugiati) e da lì imbarcati su due aerei dell’Aeronautica Militare italiana diretti all’aeroporto militare di Pratica di Mare, vicino a Roma.

Migranti, bisognosi di cure mediche e supporto psicologico, definiti “vulnerabili” perché facenti parte di famiglie o perché madri sole, minori non accompagnati o persone disabili. Assistenza umanitaria e accoglienza sono stati forniti dalla Conferenza Episcopale Italiana, attraverso la Caritas. Nello specifico in Italia 16 sono le diocesi coinvolte per l’accoglienza dei profughi sul territorio dell’ambito del circuito di accoglienza istituzionale cioè Centri di Accoglienza Straordinaria e Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). A tutti è stata concessa la protezione internazionale e tutti verranno inseriti in un percorso di integrazione. Un progetto che rappresenta un’alternativa concreta ai viaggi sui barconi nel Mediterraneo con un duplice vantaggio: sia impedire lo sfruttamento dei trafficanti di uomini che fanno affari con chi fugge dalle guerre; sia concedere a persone in “condizioni di vulnerabilità” un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo.

Presenti in molte città libiche e gestite da milizie armate, i cosiddetti “centri di detenzione” per migranti sono ultimamente saliti agli onori della cronaca per le condizioni in cui i vari rifugiati si trovano a vivere, tra condizione igieniche e sanitarie pessime e violazioni in maniera sistematica dei diritti umani. Situazione che si era fatta ancora più grave negli ultimi mesi, probabilmente a fronte di un accordo che il governo italiano aveva fatto con alcune di queste milizie per bloccare il flusso migratorio dalla Libia. Una presenza capillare in questi centri da parte dell’UNHCR e dell’IOM era stata auspicata e richiesta più volte da parte del governo italiano, ciò sta oggi avvenendo ma migliorare le condizioni delle migliaia di persone che ci vivono non è una soluzione semplice. A Tripoli intanto il progetto dell’UNHCR è quello di costruire e gestire un centro per un migliaio circa di migranti ma nulla si è ancora fatto concretamente. I primi 162 richiedenti asilo, arrivano quindi totalmente da questi centri e fanno parte inoltre di un elenco stilato a dicembre di circa 1300 richiedenti asilo che l’UNHCR considera “vulnerabili” e che entro marzo 2018 verrano fatti evacuare in qualsiasi paese sicuro che sia disposto ad accoglierli. Il numero previsto poi, seguendo soluzioni simili a quella italiana, sarà per l’anno appena iniziato vicino a quasi 10.000 richiedenti asilo.

Con la cooperazione delle autorità libiche si cerca di costruire quindi un nuovo modello di gestione dall’altra parte del Mediterraneo che va di pari passo con l’obiettivo da parte dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni di far tornare a casa con rimpatri volontari circa 30 mila migranti senza diritto all’asilo. Un nuovo modello che si basa inoltre sulla fine delle soluzioni “emergenziali” al problema migratorio ed ovviamente ad una chiusura della rotta del mare per impedire altri ed eventuali sbarchi, che sicuramente arriveranno ma si spera in forma molto ridotta rispetto al passato. Altro punto fondamentale è quello dei “ricollocamenti” dei migranti arrivati in Italia verso altri paesi Europei, circa 11mila rispetto ai 2500 dell’anno precedente; e la spinosa questione delle espulsioni, 103 nell’anno appena concluso, motivate da questioni di sicurezza nazionale (con un aumento del 62% rispetto al 2016 quando le espulsioni erano state 66). Il controllo del confine marittimo a Nord e di quello terrestre a Sud della Libia, rimane poi di fondamentale importanza, e di pari passo dovrà andare, per regolarizzare il flusso dei migranti e fronteggiare il terrorismo internazionale: l’operazione room italo-libica contro il traffico di esseri umani, basata sulla collaborazione tra Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e procura di Tripoli è attualmente in azione. Se l’immigrazione è infatti un fenomeno strutturale, c’è da precisare che non potrebbe mai essere risolta attraverso sole politiche emergenziali. Corridori quindi che, non saranno magari una soluzione definitiva, ma pongono l’Italia in prima fila per quanto riguarda l’accoglienza. Questa volta inoltre più sicura, più organizzata, più mirata e sopratutto legale. Magari quella presa dal Governo sarà una decisione che non porterà voti facili alle prossime elezioni ma che dimostra l’impegno attivo di un paese anche quando il resto d’Europa sembrava essersi dimenticato della questione migranti.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Corridoi umanitari