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Coronavirus: un problema di sicurezza nazionale?

Bill Gates, imprenditore, informatico e miliardario statunitense, a un convegno tenutosi a Boston nel 2018, aveva così commentato l’ipotesi dell’arrivo di una nuova epidemia: “Guardando i thriller di Hollywood, penseresti che il mondo sia abbastanza preparato per proteggere la popolazione da microrganismi mortali. Nel mondo reale, però, l’infrastruttura sanitaria che abbiamo in tempi normali degrada molto rapidamente durante i primi focolai di malattie infettive. Questo è particolarmente vero per quanto riguarda i Paesi poveri. Ma anche negli Stati Uniti la risposta a una pandemia o un attacco di bio-terrorismo sarebbe insufficiente”. Ad oggi credo sia sotto gli occhi di tutti quanto, a livello mondiale, quasi ogni paese sia stato colto in una colpevole impreparazione nel fronteggiare l’attuale situazione di emergenza sanitaria.

L’epidemia di Ebola del 2014 fu definita dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “una minaccia alla pace e alla sicurezza”; oggi in presenza di una pandemia globale, la minaccia per la sicurezza nazionale è ancora più evidente in tutta la sua gravità. Merita di essere affrontata con lungimiranza e determinazione per evitare che eventuali destabilizzazioni dell’ordine mondiale ci trovino nuovamente impreparati, non solo come Nazione ma più in generale come comunità internazionale.

In sostanza, questo non è il tempo di interventi sporadici o di breve termine. E’ necessario essere consapevoli che la nostra vulnerabilità sarà sensibilmente aumentata sino a che non avremo superato i postumi dell’epidemia in termini non solo economici, ma anche di coesione sociale. Ne usciremo senza dubbio, ma dobbiamo mettere in conto che per un periodo non breve saremo comunque indeboliti, potenziali bersagli di azioni/interessi esterni. È quindi necessario irrobustire il più possibile il Sistema di Difesa Nazionale (Difesa+Interni+Servizi+Sanità+Protezione Civile) rinvigorendo fra l’altro mezzi e capacità operative che sono andate perdendosi dopo la fine della guerra fredda. Mi riferisco, solo per fare un esempio, alle predisposizioni e all’addestramento necessari per operare efficacemente in ambienti contaminati batteriologicamente, ma potrei citare molte altre capacità da riacquisire per aumentare la nostra resilienza in caso di minaccia esterna.

Più in generale servono significativi investimenti in termini economici e di risorse umane in settori troppo a lungo sottofinanziati, oltre che in primo luogo una visione politica di lungo respiro che inquadri l’azione italiana anche nell’ambito delle nostre alleanze storiche.

Cedere alle sirene del “soft power” cinese o russo, magari come reazione alla disattenzione americana verso i suoi alleati storici, sarebbe a mio avviso ingenuo. Pur essendo la Russia e la Cina due nazioni con le quali dobbiamo certamente ricercare rapporti amichevoli e di collaborazione, non possiamo perdere di vista gli obiettivi strategici di queste due grandi potenze, impegnate come sono a creare un nuovo ordine mondiale, essenzialmente a scapita del blocco dei Paesi occidentali di cui l’Italia, fino a prova contraria, fa parte integrante.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

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