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Mediterraneo: Turchia padrona

Sono trascorse diverse settimane da quando Egitto, Grecia, Cipro, Francia ed Emirati Arabi Uniti – di fatto uniti in funzione anti-Turca – hanno dichiarato “illegale” l’attività di esplorazione petrolifera della Turchia nelle acque territoriali di Cipro e hanno denunciato la violazione dello spazio aereo greco da parte di alcuni caccia turchi [1], ma ancora la situazione non accenna a trovare una soluzione, anzi.

La nave turca a cui si fa riferimento è la Fatih, salpata da Istanbul, e diretta nelle acque cipriote nelle quali, teoricamente, dovrebbe cominciare le trivellazioni a luglio. Almeno così afferma Erdogan dichiarando che verrà ripreso il lavoro lasciato interrotto nel 2019.

Due anni fa, infatti, "dopo le minacce di unità militari turche, la multinazionale americana Exxon-Mobil e il consorzio italo-francese formato da Eni e Total decisero di rinviare le loro trivellazioni nell’area, garantite dal governo di Cipro con assegnazioni legali e in sintonia con il diritto internazionale" [2]. In questa contesa “marittima” si inserisce l’alleanza industriale e anche politica che l’Egitto di Abdel Fatah al Sisi ha iniziato a sviluppare da qualche anno.

Il Cairo da tempo ha fondato un East Med Gas Forum che include Egitto, Israele, Palestina, Grecia, Cipro, Italia e Francia. Una vera e propria organizzazione internazionale, con un segretariato, un livello ministeriale, uno di Senior Officials, sulle risorse energetiche del Mediterraneo orientale.

L’espansionismo della Turchia rischia di far saltare i già delicati equilibri di una coalizione che soprattutto per l’Italia è più a trazione ENI che figlia di una scelta consapevole di politica estera e di conseguente scelta di campo.

Il gruppo dei 5 ha preso di mira anche l’attività militare turca in Libia, in quanto gli accordi intercorsi tra Turchia e Libia hanno comportato una spartizione dei confini delle Zone Economiche Esclusive nell’alto mare, in spregio delle esistenti Zone Esclusive di Cipro e della Grecia.

Alla contesa per il controllo dei fondali e dei correlati diritti esclusivi di sfruttamento esclusivo, si vanno sommando gli interessi politici nella guerra civile tra Haftar e al-Sarraj e alle rispettive alleanze. Quella pro Al Serraji era inizialmente a guida italiana. L’Italia per mandato americano aveva infatti la responsabilità del dossier “Libia”. L’Eni era l’interlocutore privilegiato del Ministero del Petrolio e di tutte le principali tribù che gestivano il potere reale in Libia. La nostra Ambasciata rimaneva aperta anche quando le altre chiudevano. Avevamo riguadagnato una posizione centrale dopo la cacciata del nostro alleato Gheddafi.

Il primo a mettere in discussione lo status italiano fu il Presidente Francese Macron, iniziando una serie di incontri a Parigi a cui partecipavano sia Al Serraji che il Gen. ribelle sostenuto dalla Francia Haftar. L’obiettivo era duplice: affermare il ruolo della Francia al posto dell’Italia e dare legittimità internazionale al Generale Haftar, nonostante l’ONU riconoscesse Al Serraji. Le proteste italiane furono come sempre veementi e come sempre non portarono a nulla, se non la concessione a essere invitati ai colloqui presieduti da Macron, insieme ai leader libici. Un’umiliazione. Ma almeno ci consentiva di essere presenti nelle foto di fine meeting. "Meglio di niente" avranno pensato alla Farnesina.

Da quel momento è stato un percorso in discesa. Mano a mano che il gioco si faceva duro diveniva sempre più evidente che i nostri governanti non erano duri abbastanza per giocare. Il climax si è raggiunto quando, con Tripoli accerchiata e con i ribelli alle porte, al grido di aiuto di Al Serraji si è opposto lo sguardo vitreo e il sorriso da “totem ghirghiso” del nostro Governo già alla rincorsa di un posto nella tribuna degli ospiti di Haftar, prematuramente dato per vincente.

Con l’Italia auto esclusa dai giochi in poche audaci mosse prive di alcun senso, per la Turchia si sono aperte praterie di potenziali immensi ritorni politici, economici e militari, in grado di accelerare il sogno neo-ottomano di Erdogan di tornare ad essere dopo secoli di primato europeo la Potenza di riferimento nel Mediterraneo, nell’Africa settentrionale e in quella orientale.

La Francia che per prima ha dato la spallata all’Italia si trova adesso a doversi confrontare con la Turchia. E’ troppo potente per essere bullizzata da Erdogan e non ha paura a combattere, ma nell’economia generale del conflitto libico deve tenere conto anche della volontà Russa che con la Turchia ha verosimilmente messo in conto la spartizione della Libia in aree d’influenza trovando un accordo con i Turchi come in Siria. In questa spartizione la Tripolitania andrebbe ai Turchi, la Cirenaica finirebbe sotto l’orbita russa ed egiziana, mentre il Fezzan, con le sue miniere, alla Francia.

Con l’Italia fuori dai giochi sulla terraferma, rimane la questione dei giacimenti di idrocarburi a mare, dei diritti di pesca e della tutela ambientale del mare. Tutti temi di particolare interesse strategico dell’Italia.

La lotta per la supremazia marittima in Mediterraneo e suoi sui fondali è la guerra silenziosa che è in atto ormai da tempo ma che adesso entra sempre più nel vivo e dalla quale non possiamo più fuggire, perché qui si parla del canale di Sicilia e degli accessi all’Adriatico e al Mediterraneo Orientale. Vogliamo aspettare di avere i Turchi in Canal Grande?

L’Italia, in tutto ciò, che pensa di fare? Stare a guardare? Più o meno sì. Come ha sapientemente scritto su Repubblica Lucio Caracciolo [3], l’intelligence e l’economia, da sole, non bastano se non sono coronate da una vera e propria strategia che prenda in considerazione tutti gli aspetti a 360 gradi. A cosa serve appoggiare al-Sarraj se poi non lo si può difendere militarmente? È ovvio che abbia rivolto il suo sguardo alla Turchia che è, al contrario di noi, in grado di fornirgli protezione. E così è la Turchia che gestisce i flussi migratori in Tripolitania.

Insomma, una sconfitta su tutta la linea. Se non si ha il coraggio di sostenere militarmente l’azione diplomatica, che almeno non si mettano a segno autogol di sorta. Si farebbe il gioco della Turchia e dell’Egitto che come troppo spesso è accaduto nella nostra storia troveranno infine un accordo sulle nostre spoglie.

Il Mediterraneo è troppo importante per la nostra Nazione per rimanere in tribuna tifando ora per l’uno ora per l’altro dei contendenti in campo.

Ammiraglio (a) Giuseppe De Giorgi

[1] https://www.ammiragliogiuseppedegiorgi.it/mc/594/il-morbo-infuria-il-pan-ci-manca-sul-ponte-sventola-bandiera-bianca

[2] https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/01/news/egitto_cosi_nel_mediterraneo_al_sisi_rafforza_un_alleanza_anti-turchia-258170128/

[3] https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/06/16/news/libia_la_palude_italiana-259400644/

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Mediterraneo: Turchia padrona