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La morte degli Arsenali

Nel giro di pochi anni, i nostri Arsenali moriranno, per la scomparsa degli ultimi “arsenalotti”, pensionati senza sostituzione. Non sarebbe un bel risultato.

Le Basi aeronavali sono uno dei pilastri su cui poggia la capacità marittima di una nazione, insieme alla Flotta e alla cantieristica militare (che comprende le Industrie in grado di realizzare sistemi d’arma ed equipaggiamenti vari).

Gli Arsenali assolvono infatti a una funzione strategica per lo strumento marittimo, in quanto costituiscono il principale elemento di supporto tecnico/logistico/manutentivo, in continuità con la cantieristica nazionale, nel garantire la prontezza delle Unità della Flotta, nell’arco della loro vita operativa.

La specificità delle loro capacità rappresenta un patrimonio da preservare, quale elemento abilitante per l’espletamento dei compiti cui la Marina deve assolvere. Patrimonio ancora più prezioso se lo si inquadra nell’attuale congiuntura che impone il ritorno all’internalizzazione, vista l’insostenibilità economica del ricorso massiccio all’esternalizzazione delle manutenzioni e dei servizi che aveva caratterizzato il decennio scorso, con, fra l’altro, perdita di know how tecnico in Marina, aumento dei tempi di indisponibilità delle navi per avaria, sottoimpiego di parte del personale tecnico militare e civile.

Da un lato, il cronico sotto-finanziamento che ha penalizzato la Marina negli ultimi anni si è ripercosso, oltre che sullo strumento marittimo nazionale, anche sugli Arsenali che hanno progressivamente perso le originali capacità produttive e di supporto tecnico/logistico, dall’altro il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione non ha consentito il ricambio delle generazioni delle maestranze, portandoci all’attuale situazione di crisi pre-mortem.

Nel periodo 2013/2016 la Marina ha avviato una serie di iniziative per il rilancio degli Arsenali, aprendo gli stabilimenti di lavoro alla manutenzione di navi mercantili e di Marine straniere, facendo ricorso estensivo alle permute per recuperare risorse per integrare i pochi fondi disponibili per il sostegno delle funzioni basiche degli Arsenali stessi. La Marina e i Sindacati dei lavoratori si sono coalizzati per sollecitare la politica per ottenere risposte, con successi alterni e purtroppo non strutturali. Uno degli obiettivi principali era accelerare il finanziamento del piano Brin, rallentato dalla burocrazia e dalla scarsa priorità attribuitagli dallo Stato Maggiore della Difesa. Il piano, voluto dall’Ammiraglio De Donno e approvato dal Governo pro-tempore, mirava a dare certezza al futuro degli Arsenali rinnovando in modo radicale le loro infrastrutture e i relativi macchinari, ormai obsoleti e fatiscenti.

Nonostante le dilazioni nell’erogazione dei fondi e le estenuanti lentezze della burocrazia militare, molte infrastrutture importanti sono state ammodernate: grandi bacini di carenamento, officine, magazzini, etc. , gettando così le basi di un effettivo rilancio dei nostri stabilimenti di lavoro. Il secondo obiettivo era di ottenere la ripresa delle assunzioni di personale tecnico navalmeccanico, per ripianare i vuoti d’organico. La funzionalità di intere linee di lavorazioni era infatti in procinto di essere compromessa per la mancanza di personale chiave, nonostante le relative officine siano state nel frattempo ammodernate. Mentre per il primo qualche risultato si è visto, per il secondo nulla di fatto.

Siamo di fronte a un paradosso tipicamente italiano. Da una parte lo Stato ha investito ingenti risorse per rimettere in piedi gli Arsenali della Marina e dall’altro il Ministero della Difesa, che dello Stato è espressione, non riesce a ottenere lo sblocco delle assunzioni per gli Arsenali, nonostante i numeri necessari a garantire che le officine e i bacini possano funzionare siano veramente contenuti. Parliamo di 700/1000 tecnici in tutt’Italia, numeri che fanno tenerezza rispetto alle nuove (giustissime e doverose) assunzioni nella Pubblica Istruzione, nella Sanità e nelle Forze di Polizia. La vitalità degli Arsenali non è utile solo alla Marina ma è importante anche per la salute del tessuto sociale delle Regioni su cui insistono i nostri Arsenali, non solo in termini di indotto economico nel settore del refitting (tipico della piccola e media industria), ma anche in quello dell’occupazione giovanile. Il Ministro dovrebbe quindi riprendere, con rinnovata energia gli sforzi per ottenere le necessarie deroghe dal Governo ottemperando agli impegni presi negli anni con i cittadini e con i sindacati, oltre che con la Marina Militare stessa. Non avrebbe senso, anzi sarebbe gravemente censurabile come danno all’erario, lasciare che gli Arsenali vadano in malora, dopo che per anni sono state spese dallo Stato ingenti risorse per il loro rilancio.

Il rischio è che dopo aver rimesso a posto gli Arsenali con denaro pubblico, essi vengano dismessi a beneficio di qualche gruppo industriale o di speculatori privati.

Spero non sia così, se non altro per il rispetto dovuto alle Istituzioni e ai cittadini Italiani.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - La morte degli Arsenali