Italiano

Offshore: il mercato specialistico per la produzione di petrolio

C’è chi, come la Francia, vaglia disegni di legge nei quali si decreterà, entro il 2040, la fine della produzione di gas e petrolio con concessioni esistenti che non saranno rinnovate e nuovi permessi di esplorazione che non saranno più concessi. C’è poi chi , come l’America, invece, si appresta a rilanciare le esplorazioni offshore alla ricerca di idrocarburi in un piano su larghissima scala che coprirà la quasi totalità delle acque territoriali degli Stati Uniti, comprese quelle al largo di California e Florida. Nonostante l’avanzamento delle energie rinnovabili ed alternative, in primis quella elettrica, l’oro nero continua a farla da padrone. Anche l’Italia con le sue regioni e con i suoi gruppi industriali è impegnata in questo campo che va dalla trivellazione, all’estrazione e alla vendita del petrolio in ogni parte del mondo: l’Eni, società controllata dal ministero del Tesoro, per esempio, proprio a fine dicembre ha toccato un nuovo record di estrazioni di idrocarburi dai giacimenti in concessione grazie all’entrata di produzione del giacimento di Zohr, nel quadrante di mare tra le coste di Cipro e di Israele, con una produzione record di un milione e 920 mila barili.

A differenza di altri investimenti, quali azioni e obbligazioni, il petrolio si muove in maniera abbastanza semplice: domanda e offerta. Entrambe stanno cambiando in maniera drammatica. Sul fronte della domanda, il pianeta ha sete di greggio e l’Italia, secondo i dati più recenti, ha riserve nascoste cospicue (pari circa ad un terzo di quelle inglesi) con stime prudenziali che indicano in un miliardo di barili le riserve accertate nel sottosuolo italiano, a fronte di 532 pozzi attualmente in funzione sulla terraferma e 362 in mare. In Italia molta dell’attività di ricerca oggi consiste in quello che viene definito “l’upstream dell’upstream”, intendendo l’acquisizione dei diritti di sfruttamento, l’esplorazione (studi geologici e rilievi geofisici), lo sviluppo (allestimento dei siti d’estrazione) e la produzione (estrazione). Tutte attività che vengono svolte a monte della filiera, prima del trasporto e della commercializzazione.

La ricerca del petrolio procede generalmente in tre fasi. La prima è rappresentata dalle indagini geofisiche nelle quali si conducono studi che utilizzano normalmente la sismica di riflessione inviando onde elastiche nel sottosuolo che si rifrangono e riflettono su certe discontinuità geologiche, dette specchi. Se l’esito risulta positivo, si passa alla seconda fase nella quale si verifica se le anomalie significano anche presenza di giacimenti di idrocarburi. In questa fase si conducono delle mini-trivellazioni utili a fornire dei campioni in cui cercare la presenza di idrocarburi. Si passa, infine, alla terza fase, quella della trivellazione. Anche per la ricerca di petrolio in mare si inviano onde elastiche verso il fondale, questa volta mediante cannoni ad aria. L’aria, colpendo il fondale, produce particolari onde che, rimbalzando verso la superficie, fanno vibrare i captatori (chiamati idrofoni). Le vibrazioni degli stessi danno ai ricercatori indicazioni sulla presenza eventuale di idrocarburi o di giacimenti di gas.

Oggi quasi tutti gli impianti di perforazione sono in grado di spostarsi, ciò dipende proprio dal fatto che la ricerca di idrocarburi si sposta sempre più verso gli alti fondali dove sarebbe molto complesso e costoso riuscire a realizzare strutture fisse. Per questo motivo sono considerati dei natanti in quanto muniti di motori il cui compito principale non è provvedere allo spostamento del mezzo, ma anzi quello di tenerlo il più possibile fermo sulla verticale del pozzo da perforare. Ne esistono di due tipi: i jack-up ossia strutture semimovibili composte da uno scafo (detto “hull”) sorretto da gambe, quasi sempre in numero di tre che si retraggono nel momento dello spostamento e che vengono affondate nel fondale marino al momento della perforazione; i semisub, o semisommergibili, sono invece considerati a tutti gli effetti dei natanti, in quanto mezzi flottanti con capacità di galleggiare e navigare abbastanza agevolmente , ma capaci di lavorare in fondali più profondi, attualmente fino a circa 3000 metri, contro i 150-200 metri di massima profondità dei jack-up, grazie all’utilizzo di particolari eliche (chiamate “thruster” ed alimentate da motori elettrici) che servono a mantenere dinamicamente il natante in posizione contrastando le correnti marine e i venti di superficie.

Tra i leader a livello mondiale nella progettazione e costruzione di mezzi di supporto di alta gamma per il settore dell’esplorazione e della produzione di petrolio e gas naturale si è distinta proprio l’italiana Fincantieri, impegnata da decenni nella realizzazione di prodotti innovativi nel campo delle navi e piattaforme semisommergibili di perforazione (drillship e semi-submersible drilling rigs), nonché altri mezzi specializzati. Fincantieri si pone oggi come uno dei più importanti complessi cantieristici al mondo e il primo per diversificazione e presenza in tutti i settori legati al comparto navale, basti pensare che , in oltre 200 anni di storia della marineria, ha visto la nascita nei suoi cantieri di più di 7.000 navi. Dal momento dell’acquisizione nel 2013 di “Vard”, società che opera nella costruzione di mezzi di supporto alle attività di estrazione e produzione di petrolio e gas naturale, il gruppo ha raddoppiato le sue dimensioni arrivando oggi a contare quasi 20.000 dipendenti in 21 stabilimenti sparsi per circa 3 continenti.

La crescita del fabbisogno energetico mondiale, unita alla limitata diversificazione delle fonti energetiche ed alla riduzione delle riserve petrolifere nelle zone a più facile accesso, richiede oggi nuovi mezzi per lo sfruttamento dei giacimenti di recente mappatura spesso situati in acque molto profonde. Il rilancio del settore di Fincantieri “Offshore” (specializzato per le perforazioni a mare), controllato anch’esso dal ministero del Tesoro, dopo la crisi del 2008, si sta realizzando, quindi, proprio grazie alla richiesta del mercato internazionale di maggiori materie prime, spesso accessibili solo a grandi profondità marine e in condizioni sempre più difficili. L’offshore risulta quindi oggi un mercato specialistico ad alto valore aggiunto e con margini più elevati grazie all’attuale crescita del mercato ed alle prospettive di persistenza di questa tendenza. Purtroppo le energie alternative non sono ancora disponibili in misura sufficiente a sostituire il petrolio e quindi continueranno a rappresentare una soluzione complementare. Sarebbe tuttavia un errore non investire nella ricerca nel campo delle risorse rinnovabili perché il pianeta non sarà in grado di sopportare all’infinito i prodotti nocivi della combustione degli idrocarburi.

Ammiraglio Giuseppe De GIorgi - Produzione di petrolio offshore