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Al-Serraj e Haftar, due contendenti per il governo della Libia

Stabilizzare l’area libica è stato il tema centrale della lunga telefonata svolta tra Gentiloni e Putin qualche settimana fa, anche se mi è difficile immaginare con precisione in che modo Roma e Mosca potranno collaborare senza alterare troppo i fragili equilibri libici dal momento che, come è noto, il governo russo sostiene il generale Khalifa Haftar, l'uomo forte della Cirenaica a capo dell'esercito nazionale libico (LNA), mentre il nostro governo ha inizialmente scelto come interlocutore legittimo il Governo di Accordo Nazionale di Fayez Al Serraj, al quale presta supporto tecnico e tecnologico, ma soprattutto economico, secondo il Memorandum d’Intesa firmato l’anno scorso a Roma, nella lotta al terrorismo, ai traffici di esseri umani ed altri crimini. Rispettando il piano d’azione voluto dalle Nazioni Unite sembra così che entrambi i Paesi si siano più o meno rassegnati all’idea di dialogare con tutti nella speranza di trovare il miglior accordo oggi possibile per il difficile destino della nazione libica. Va evidenziato come l’attività italiana in Libia si svolga sotto il vigile occhio francese. La Francia non ha infatti perso occasione per mettere in difficoltà l’esecutivo italiano con iniziative parallele che hanno sempre finito per sminuire la credibilità italiana in Libia. Non è un mistero che la Francia intenda ridurre ulteriormente il ruolo dell’Italia e dell’ENI in Libia, ponendosi come interlocutore anche della Russia, vista la sua maggiore incisività in politica estera e nell’uso della forza a sostegno dei propri interessi.

La "battaglia dell'aeroporto" a soli 5 km da Tripoli ha riacceso i riflettori sul "caos libico". Un caos che l'Italia sta cercando di governare, soprattutto su due fronti cruciali per i loro riflessi sulla nostra politica interna e sulle elezioni politiche di Marzo: il contenimento dei flussi migratori, a cui si accompagna lo sforzo per una "umanizzazione" dei centri di accoglienza in Libia,  il rafforzamento del dialogo tra i contendenti al governo della regione e l’apertura dei primi corridoi umanitari verso l’Italia. Si tratta purtroppo di risultati vulnerabili nel medio termine, considerata la mutevolezza dei rapporti di forza fra le tribù che si disputano il controllo del territorio e delle attività in Libia.

L’avvicinarsi delle elezioni autunnali nel paese nordafricano sta incrementando, le tensioni fra due fazioni: da una parte Fayez al-Sarraj basato a Tripoli con il suo governo riconosciuto dall’ONU e a est il generale Khalifa Haftar, l’uomo che ambisce a divenire il prossimo presidente della Libia, e che a dicembre, in occasione di quella da lui definita “la scadenza dell’accordo politico di Skhirat,” ha definitivamente sconfessato la legittimità del Governo di accordo nazionale, sostenuto dalle Nazioni Unite. Il generale, un ex fedelissimo di Muammar Gheddafi, poi passato con gli americani e ora appoggiato da Egitto ed Emirati, ha già il controllo militare di quasi metà della Libia e sta avanzando verso Sirte, attualmente in mano alle milizie di Misurata alleate di Al-Serraj. 

In un clima caratterizzato da una radicata assenza di legalità, sanguinose rappresaglie hanno visto poi le forze leali a Haftar cercare vendetta contro coloro che sono stati sospettati di aver fatto esplodere due autobombe, che hanno procurato più di 40 vittime, fuori da una moschea di Bengasi. Una città che è stata relativamente tranquilla da quando Haftar ha annunciato la sua "liberazione" dai jihadisti a luglio dello scorso anno dopo una campagna di tre anni, ma dove la violenza sporadica è continuata fino all’escalation dei giorni passati quando l’attentato ha portato uno dei più alti bilanci di vittime, causate da un singolo attacco, da quando la Libia è scivolata nel caos dopo la rivolta che ha abbattuto Muammar Gheddafi nel 2011.

Rappresaglie che, secondo gli osservatori internazionali di “Human Rights Watch”, sono considerate a tutti gli effetti crimini di guerra poichè Mahmoud al-Werfalli, un comandante dell’LNA e stretto alleato di Haftar, era stato ripreso in un video durante la fucilazione di alcuni prigionieri inginocchiati, bendati e con le mani legate dietro la schiena nello stesso luogo degli attentati dinanzi alla moschea. Quello che è successo nei giorni seguenti è stato poi un susseguirsi di avvenimenti fondamentali con la richiesta, prima da parte di Unsmil (Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia) e poi di Amnesty International, di consegnare al-Werfalli alla Corte di Giustizia Internazionale e la consegna spontanea dello stesso ufficiale delle forze speciali Saiqa dell’autoproclamato Libyan National Army (LNA) alla polizia militare libica per le indagini sui presunti crimini di guerra per cui è ricercato dalla Corte Internazionale di Giustizia. Su Mahmoud al-Werfalli, fino a qualche giorno fa al comando delle forze speciali, sotto l’egida del generale Khalifa Haftar, inoltre esisteva già dal 1 agosto 2017 un mandato d’arresto per l’uccisione sommaria di 33 persone tra giugno 2016 ed agosto 2017 a Bengasi. Neanche 48h dopo l’arresto, a seguito di diverse rivolte scoppiate in città intorno al comando della polizia militare nella vicina città di Rajma, dove era stato trasferito il prigioniero, al-Werfalli è stato rilasciato.

La diffusione così rapida delle rivolte è un segnale che potrebbe indicare il livello di crescente popolarità di cui gode il generale Haftar. Ma la situazione è ancora troppo fluida per capire quale sarà il carro del vincitore su cui saltare.

Haftar è infatti considerato un nemico dalle milizie islamiste, in quanto viene accusato di essere stato al soldo di Washington. Preso prigioniero nel 1987 dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, è stato prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove  è rimasto fino al 2011 per ricomparire in Libia a comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. Le sua vicinanza e apparente disponibilità agli interessi Russi in Libia non collimano con l’immagine di un agente della CIA, a meno che nel “grande gioco” gli USA non abbiano concordato con la Russia un suo ruolo maggiore in nord Africa in cambio di un appoggio in Pacifico in chiave anticinese.

Il consenso alla candidatura politica del generale Haftar, oltre ad essere mal digerita da diverse tribù, è in diminuzione già da fine luglio dell’anno scorso, ossia a seguito dell’incontro con il presidente Fayez al-Serraj a Parigi durante il quale il presidente francese Macron si era così espresso: “E’ grandissima la posta in gioco, per il popolo libico che ha sofferto e soffre, e per la regione: se fallisce la Libia, fallisce la regione: se non poniamo fine alla crisi, continuano il terrorismo e i traffici, elementi legati, traffici di armi e di esseri umani che alimentano le vie dell’immigrazione, di cui i soli beneficiari sono i terroristi; e poi i traffici finanziari, che consentono al terrorismo di essere determinante nella regione.”

Purtroppo Serraj, l’uomo a cui la comunità internazionale ha affidato la speranza di riappacificare e unificare la Libia, senza avere il coraggio di sostenerlo concretamente, si sta rivelando un leader politicamente troppo fragile per un Paese così turbolento. La sua autorità è compromessa in molte regioni del Paese tanto da essere etichettato dai suoi avversari come il “sindaco di Tripoli”. Nonostante tutto, Al Serraji preme affinché quest’anno siano organizzate le elezioni presidenziali in un paese dove ancora oggi centinaia di gruppi armati, senza aver deposto le armi, si contendono le spoglie della Libia. Dal 7 dicembre 2017, giorno in cui si sono aperte le iscrizioni alle liste elettorali, si è registrato il 32% dei cittadini. Manca ancora oggi il quadro giuridico che al voto dovrebbe fare da cornice, dalla legge elettorale alle regole da seguire per gli eletti, a quelle che normano le stesse istituzioni. Gli sforzi delle Nazioni Unite per riconciliare le amministrazioni rivali non hanno finora prodotto alcun risultato concreto e così Bengasi rimane oggi un punto debole, dove si verificano ancora bombardamenti e attacchi. Intanto il 3 gennaio c'è stato anche il primo assassinio di un candidato alle elezioni parlamentari che verranno: il segno di un'instabilità che non smette di crescere in vista della ridistribuzione del potere.

E l’Italia? Beh ci penseremo dopo le elezioni di Marzo.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Al-Serraj e Haftar, due contendenti per il governo della Libia