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Rotta libica, un eventuale chiusura aprirebbe nuovi scenari ed equilibri

Tra polemiche ed accesi scontri politici è passato in questi giorni alla Camera il decreto per la cessione alla Libia di 12 motovedette, dieci “Classe 500” della Guardia Costiera e due unità navali “Classe Corrubià” della Guardia di Finanza, imbarcazioni di 27 metri con un’autonomia di navigazione di 36 ore. E così, dopo il via libera del Senato del 25 luglio, il provvedimento (che stanzia un milione e 150 mila euro per «il ripristino in efficienza, l'adeguamento strutturale e il trasferimento» delle imbarcazioni in Libia e un milione 370mila euro per la formazione del personale della Guardia costiera e della Marina libica) diventa legge, con l’obiettivo di rendere operativi in territorio libico già entro fine mese le imbarcazioni della Guardia costiera (mentre le due motovedette della Gdf dovrebbero essere pronte ad ottobre). Si legge nel provvedimento, infatti : “la straordinaria necessità e urgenza di incrementare la capacità operativa, in modo da assicurare la sicurezza della navigazione nel Mediterraneo, contrastare i traffici di esseri umani e salvaguardare le vite umane in mare”. L’obiettivo del governo italiano, implementando l’opera di rafforzamento delle autorità libiche già iniziata dal precedente esecutivo con mezzi navali e supporto tecnico-informativo, è, quindi, quello di chiudere la cosiddetta “rotta libica” scongiurando i morti in mare e scoraggiando nuove partenze.

Secondo gli ultimi report di Frontex si sono ridotte di molto le navi impegnate nel soccorso vicino alle coste libiche, è in atto, inoltre, una fase di riorganizzazione del traffico degli esseri umani, in parte su nuove rotte e con mezzi diversi rispetto ai vecchi barconi. A fronte di sbarchi da navi mercantili, militari o delle ONG diminuiti sensibilmente purtroppo, però, sta ripresentandosi lo sbarco clandestino di imbarcazioni veloci direttamente sulla costa italiana, senza filtri di sicurezza, come accadeva prima di Mare Nostrum. Un fenomeno preoccupante che vede una riattivazione della criminalità italiana nella gestione del traffico di esseri umani sul territorio nazionale. Si stanno attivando anche rotte diverse da quelle dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Egeo per esempio.

Con la fermezza dell’attuale esecutivo, poi, nel voler chiudere i porti a chi sbarca immigrati illegali stiamo assistendo in questi mesi ad un fenomeno nuovo ma prevedibile: l’ingigantirsi dei flussi migratori verso la Spagna, con oltre 27 mila sbarcati da inizio anno. Così in poche settimane sembra che i flussi si siano spostati dalle spiagge libiche a quelle marocchine (e algerine) con l’obiettivo di portare il numero più alto possibile di clandestini africani nella Penisola Iberica. In media la Spagna si trova oggi ad accogliere ogni giorno circa 500 migranti, cifra con la quale il paese iberico ha superato per la prima volta l’Italia per flussi migratori illegali (dal 2013 ad oggi sarebbe quasi 700 mila il numero di migranti sbarcati, invece, in Italia). Nonostante il numero limitato di sbarchi, rispetto ai grandi numeri avuti negli ultimi anni in Italia, il sistema di accoglienza spagnolo sembra essere già in crisi, ne va di conseguenza che masse, che in gran parte non sono state identificate, stanno già muovendosi, illegalmente, verso il confine francese. Madrid, per arginare il problema, ha varato una centrale operativa di comando per gestire l’emergenza estiva e iniziato trattative con il Marocco da dove i trafficanti di esseri umani prendono i migranti per portarli in Europa attraversando il Mediterraneo. Inoltre il governo Sanchez ha richiesto aiuto all’Europa che subito ha stanziato 55 milioni di euro che dovrebbero venire girati al Marocco per indurlo ad aumentare i controlli delle coste. Una richiesta che ad alcuni potrebbe sembrare “paradossale” considerato che l’anno scorso proprio Spagna e Francia con distaccato diniego risposero alle richieste italiane di condividere con il nostro Paese il fardello dei flussi illegali.

La certezza oggi è che il Marocco, come tutti gli altri Stati del Nordafrica, non voglia ospitare centri d’accoglienza o hot-spot poiché non intende diventare meta, invece che punto di transito, di immigrati che vengono considerati tutti clandestini. Rabat si limita, quindi, a chiedere denaro per respingere i migranti illegali africani (e conoscendo il “precedente turco” non sorprenderà vedere il Marocco ed altri stati del Nordafrica e del Sahel pretendere, con il tempo, di avere un trattamento monetario simile allo Stato di Erdogan che ha incassato negli anni quasi 3 miliardi di euro). Oltre alla concessione di denaro europeo, che finirà nelle casse marocchine così come era finito in quelle turche (e nonostante questo da inizio anno circa 1.200 migranti sono giunti nel nostro paese dai porti dell’Anatolia) per controllare le frontiere del paese e fermare i flussi illegali, sarebbe necessario a mio avviso che l’Ue fosse più incisiva anche sotto il profilo militare. Alla missione Sofia non sono mai arrivate, ad esempio, regole d’ingaggio idonee a operare nelle acque territoriali e sulle coste libiche, che avrebbero consentito un salto di qualità operativa. Molto è stato poi detto in dichiarazioni ed intenzioni, meno nei fatti come ad esempio la mancanza, ad oggi, dell’impegno effettivo per stanziare idonei investimenti e dare corso al “Migration Compact” proposto dall’Italia e approvato a La Valletta dall’UE. Oggi ancora più di ieri, perché le cose migliorino è necessario scongiurare il rischio che la Libia diventi uno “stato fallito” (failed state) recuperando lo status di nazione sovrana, responsabile verso la comunità internazionale del controllo delle sue frontiere, nel rispetto del diritto umanitario.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi -  Rotta libica