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Tripoli: forze congiunte per difendere la capitale e salvare lo Stato libico

Secondo il dettagliato studio Capital of militias. Tripoli's armed groups capture the libyan state di W. Lacher e A. al-Idrissi pubblicato nello scorso giugno, nella capitale libica si è formato un vero e proprio “cartello” di 4 grandi milizie (Brigate rivoluzionarie di Tripoli, la Forza speciale di dissuasione Rada, la Brigata Abu Slim dirette da Tajuri, Kikli e Kara a cui si aggiunge la brigata Nawasi) formato essenzialmente da tripolini, che controllano tutto il territorio cittadino. Ognuna delle 4 milizie è al contempo un servizio di intelligence, una forza di sicurezza dello stato, una compagnia privata di security e fornisce servizi di polizia ordinaria. Pratica normale è, ormai, che anche le istituzioni libiche, inclusi gli stessi ministeri, paghino le milizie per la propria tranquillità. Fuori da questo cartello rimangono altre milizie che, da tempo, cercano di entrarvi o di strappare parti del succulento business ai quattro, come è stato per l’episodio della Settima Brigata che ultimamente ha attaccato Tripoli.

Sia contro possibili attacchi delle milizie, sia contro azioni dei terroristi Isis, in Libia viene così annunciata la nascita di una forza congiunta per la sicurezza di Tripoli, un’unità composta da tre brigate di fanteria e da assetti del ministero dell’Interno, gli stessi che hanno combattuto la Settima Brigata dei fratelli Kani. Con l’emanazione dell’ordine direttamente dal premier Fayez al-Sarraj, la Joint Force diventa realtà. Un battaglione sarà composto da soldati provenienti dal distretto militare occidentale, il secondo da uomini del distretto militare centrale e il terzo formato da unità dell’antiterrorismo (mentre intanto il governo Serraj aumenta del 15-20% gli stipendi delle milizie accreditate). Un’unità che dovrà proteggere i residenti, monitorare il rispetto del cessate il fuoco e comunicare con le parti in conflitto, autorizzata inoltre, sin da subito, a usare le armi, se necessario, per mantenere o ristabilire la sicurezza nella città. Secondo la direttiva di al-Sarraj, il generale Al-Juwaili, già ministro della Difesa, avrà ora pieni poteri sull’intero contingente, che verrà schierato in zone specifiche già individuate e, all’occorrenza, sarà autorizzato a contattare direttamente UNSMIL, la missione ONU in Libia, per ricevere assistenza e supporto. Secondo il ministro, questa forza dovrà “imporre la pace e la sicurezza nelle zone specificate e assicurare e garantire la sicurezza dei cittadini e delle loro proprietà, permettendo “il ritorno alla vita normale alla popolazione”.

Nonostante la firma lo scorso 4 settembre per un immediato cessate il fuoco mediato dalla missione delle Nazioni Unite, la tregua non ha retto ed alcuni razzi sono stati lanciati contro il perimetro dell'aeroporto internazionale di Mitiga (al momento ancora chiuso), che è stato costretto a dirottare i propri voli su Misurata. L’aeroporto era già stato chiuso il 31 agosto e riaperto il 7 settembre per poi tornare a fermarsi il 12 a causa di un lancio di razzi. L’episodio avviene ora, dopo che il 25 settembre le milizie in lotta per il controllo della capitale avevano concordato un nuovo cessate il fuoco (dopo quello naufragato del 4 settembre) e l’uscita dalla capitale delle due formazioni che l’avevano attaccata. “Southern Tripoli war is over”, come se fosse scoppiata la pace, titolava il quotidiano online Libya Observer il dì seguente la tregua firmata il 25 settembre. Vista l’estrema volatilità degli accordi in una situazione di guerra civile a bassa intensità e di continui cambi di fronte che si protrae dalla caduta del regime di Gheddafi nel 2011, la tregua non è bastata come dimostrano i più recenti avvenimenti.  

“Una vera tregua - dicono fonti indipendenti nella capitale libica - si avrà solo dopo la verifica dei rapporti di forza sul campo. E questo riguarda soprattutto Sarraj che, per reggere, deve scendere a patti con i suoi 'salvatori' che certo non gli faranno sconti”. Da Sarraj arriva così anche un’altra mossa volta, in questo caso, ad alleggerire il pressing delle milizie sul GNA: le posizioni dei prigionieri nel carcere di Mitiga verranno riviste. Nel documento si ordina, infatti, la creazione di un comitato che riconsideri le condizioni e le accuse verso i detenuti che si trovano nel carcere dell’aeroporto: la struttura passa ora dalla milizia islamista filo governativa Special Deterrence Force (RADA) al controllo del ministero dell’Interno, ne consegue, inoltre, che chiunque sia stato imprigionato oltre i termini stabiliti dalla legge, sarà ora rilasciato. Tale provvedimento fa seguito alla pubblicazione di un rapporto delle Nazioni Unite del 5 settembre scorso che riportava segnalazioni di gravi violazioni dei diritti umani su detenuti rinchiusi a Mitiga tra il 2015 e l’aprile 2018.

Nella capitale libica lo Stato, ad oggi, sembra esistere sempre meno: le strade sono discariche a cielo aperto, le banche sono chiuse, negli ospedali si curano solo i miliziani, lo straniero occidentale è un nemico o, comunque, un potenziale ostaggio da rapire e scambiare per un lauto riscatto, e proseguono gli scontri tra soldati del governo di unità nazionale ed i ribelli. Un salto indietro di moltissimi anni e anche l’economia di quello che era uno dei Paesi più ricchi del nord Africa è ridotta oggi ad un primitivismo degenerato. Gli scontri che per un mese hanno infuriato a intermittenza nella parte sud di Tripoli hanno causato almeno 117 morti e 404 feriti con lesioni gravi e medie secondo un bilancio ufficiale diffuso il 26 settembre. Ad oggi, sono oltre 1.800 le famiglie sfollate dalle zone di combattimento nei sobborghi attorno a Tripoli, mentre diversi civili sono ancora bloccati. La situazione libica, quindi, risulta ancora incandescente e difficile da risolvere. Tutto questo a soli 296 chilometri in linea d’aria dall’Italia.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

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