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Libia, il destino dello stato africano in bilico tra Italia e Francia

L’equilibrio dei poteri a Tripoli, dopo gli attacchi del 27 agosto 2018 da parte della 7° brigata ad obiettivi ed infrastrutture della città libica, è stato alterato. Se a favore o a sfavore di Al Sarraj, sarà tutto da vedere e si definirà nelle prossime settimane o mesi. Questi eventi non ci permettono sicuramente già da ora di parlare di guerra civile ma, in vista delle dichiarazioni di Haftar su una possibile marcia verso la capitale e con l’avvicinarsi delle elezioni di Dicembre (volute dalla Francia contro il parere italiano) , subiranno probabilmente un incremento al fine di far posizionare al meglio i vari gruppi e fazioni che si contendono oggi il paese africano. Gli eventi del 27 agosto pongono, comunque, una lecita domanda su quanto effettivamente consistente sia stato ad oggi l’appoggio italiano al leader libico Al Sarraj nel momento del bisogno. In Libia, come già sappiamo, oltre all’Italia operano una molteplicità di attori, prima fra tutti la Francia, che è, fra i partner europei, la più attiva in Africa, con obiettivi strategici di lungo respiro. La posizione italiana in Libia, che ha avuto recentemente nuova conferma da parte USA come nazione leader nello scacchiere libico, non è, però, riconosciuta dalla Francia che costantemente ha interferito sull’azione di tessitura che la nostra diplomazia e l’AISE portano avanti, pur senza clamore, e si presenta sempre più come arbitro “super partes” al posto dell’Italia. Macron ed il suo governo, come Egitto, Emirati Arabi Uniti, ed Arabia Saudita, sostengono, invece, ed esplicitamente, Haftar muovendosi sulla scena internazionale con iniziative volte a legittimarlo equiparandolo ad Al Sarraj, l’unico leader attualmente riconosciuto dall’ONU, che sinora è stato contrario all’ingresso della missione EU in acque territoriali e sul terreno libico, nonché alle missioni Nato. Fino ad oggi sono stati gli accordi bilaterali, infatti, gli accordi preferiti da Al Sarraj, ritenuti meglio gestibili e secondo la tradizione mediorientale fra loro opponibili in caso di bisogno. Così è iniziata la missione italiana in Libia con la Nave Tremiti, destinata al supporto logistico della Guardia Costiera Libica, e la creazione di un ospedale da campo italiano a Misurata. In tutto, la presenza militare italiana è tuttavia molto ridotta (appena 350/400 uomini incluso il personale della Nave e dell’ospedale da campo). Utile sarebbe, invece, per molti ed ovvi motivi, l’espansione del supporto alla componente marittima libica con istruttori del 2° Reggimento San Marco, unica unità militare specializzata nelle operazioni di MIO (Maritime Interdiction Operation) con capacità d’assalto in ogni tempo dislocata possibilmente all’interno della base navale della Marina a Tripoli.

Secondo le fonti aperte sono però oggi presenti in territorio libico, ed in molti casi con interlocutori libici diversi, sia militari francesi, sia inglesi sia americani. In tutto questo caos di voci diverse i rapporti fra l’Italia e la Francia stanno così progressivamente riassumendo la storica conflittualità in atto dalla fase pre-unitaria dell’Italia sino alla vigilia della prima guerra mondiale. Con il riavvicinamento agli Stati Uniti voluto da Sarkozy e con il superamento della guerra fredda l’utilità italiana come alleato privilegiato degli USA nel Mediterraneo si è ridotta di molto negli anni e questo alla fin fine ha indebolito l’argine americano alle ambizioni francesi in Mediterraneo lasciando il nostro Paese alla mercé della nostra potente vicina d’oltralpe. Trump, probabilmente, sosterebbe più volentieri l’azione italiana rispetto a quella francese, ma è altrettanto vero che, qualora tale azione si rivelasse inconcludente, non si opporrebbe alle mire francesi sulla Libia purché il risultato sia il contenimento dell’espansione russa verso Ovest. I diversi governi italiani succeduti si negli anni hanno poi portato avanti iniziative volte, nell’immediato, a fermare gli imbarchi di migranti diretti nel nostro Paese. Mancata è stata, invece, a mio avviso , un’azione mirata per consolidare un rapporto privilegiato di lungo periodo con il paese africano, azione focalizzata magari nel tempo con diversi interventi di “soft power” che aumenterebbero di molto l’ascendente italiano nella percezione della popolazione. Pozzi, scuole, ospedali, università, caserme. Progetti che, coinvolgendo non solo il governo centrale libico, ma anche le tribù che da sempre hanno un ruolo fondamentale nel Paese, potrebbero migliorare i nostri rapporti. In Libia funziona così da sempre ed ignorare le tribù pensando di risolvere tutto con il governo centrale vorrebbe dire non capire lo stato africano e fallire in partenza. Il ministro della Difesa italiana Elisabetta Renta ha recentemente affermato durante l'audizione davanti alle commissioni congiunte Esteri e Difesa di Senato e Camera: “L’Italia ha e intende continuare ad avere un ruolo da protagonista in Libia. […] La stabilizzazione del Paese è infatti per noi fondamentale per il controllo dei flussi migratori, per fronteggiare il terrorismo che rischia di radicarsi in territori privi di controllo centralizzato e per la nostra stessa sicurezza energetica”.

Chiamiamola pure “sicurezza energetica” se si voglia, ma parte di quello che succede oggi in Libia, e che contrappone anche Italia e Francia, passa proprio dagli idrocarburi, considerando che la Libia possiede le maggiori riserve di petrolio dell’Africa, le none nel mondo. Una politica estera di lungo respiro, in mancanza di programmi più definiti da parte del governo, effettivamente esiste e viene portata avanti dalle multinazionali di gas e petrolio: l’italiana ENI da decenni ha in concessione molti giacimenti libici sia onshore che offshore, principalmente nella parte ovest del paese, quella sotto il controllo del governo Al-Serraj. Tuttavia la maggior parte del petrolio libico si trova nella parte centrale del paese, quella sotto il comando del generale Haftar, dove alcuni pozzi di questa zona sono gestiti dalla società Waha Concessions nel cui azionariato compare anche la francese Total, che da vari anni sta cercando una strategia per affermarsi maggiormente in Libia. Gli storici ottimi rapporti dell’ENI con il NOC (National Oil Company, ossia l’autorità libica che gestisce tutte le attività legate agli idrocarburi nel Paese) di cui è da sempre partner privilegiato, costituiscono una dote importante a favore della sua credibilità nell’area, contribuendo alla stabilità di una delle componenti vitali della Libia, la fruibilità delle ricchezze legate agli idrocarburi. Se oggi l’Italia, portando avanti i suoi interessi nazionali, si trova ad appoggiare Al Sarraj, molto, a mio avviso, dipende anche da questo, dal momento che sarebbe stato fin troppo difficile tutelare i rapporti con le milizie Tripoline e della costa occidentale della Tripolitania che controllano Mellitah (50% ENI e 50% NOC da cui parte il grande gasdotto che costituisce uno dei canali di rifornimento più importanti per il nostro paese), senza appoggiare il Premier al suo insediamento a Tripoli. C’è chi afferma che in Libia comanda chi ha il petrolio. Potrebbe avere ragione.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Libia