Italiano

Via della seta, tra ferrovie e porti, una nuova opportunità per Cina, ed Italia

L’originaria via della seta si sviluppava per circa 8.000 km, tra itinerari terrestri, marittimi e fluviali e nell’antichità questo importante tratto commerciale partendo da Chang’an (oggi Xi’an) in Cina si collegava all’Europa riuscendo così a creare un ponte commerciale tra l’impero cinese e quello romano. Destinazione finale della seta, oltre che ovviamente altre preziose merci, era Roma che allo stesso tempo in senso inverso insieme alle merci portava anche cultura e religioni. Sulla via della seta hanno viaggiato, infatti, molti influssi artistici, in particolare nella sua sezione dell'Asia Centrale, dove si sono potuti mescolare elementi ellenistici, iraniani, indiani e cinesi. La via della seta è stata quindi di fondamentale importanza non solo per lo scambio commerciale tra i due continenti ma anche per aver portato fuori dai territori dove erano nate idee, determinanti per lo sviluppo e il fiorire di antiche civiltà ma anche per gettare le basi di quello che sarà più avanti il mondo moderno.

E proprio dalla via della seta riparte l’iniziativa strategica della Cina per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione tra i paesi nell’Eurasia. La strategia Cinese, conosciuta anche come "iniziativa della zona e della via" o "una zona, una via" e col corrispondente acronimo inglese OBOR (One Belt, One Road), mira a promuovere il ruolo del paese nelle relazioni globali, favorendo i flussi di investimenti internazionali e gli sbocchi commerciali per le produzioni cinesi. Un business di dimensioni notevoli quello che si sta nuovamente aprendo su questa antica strada di commercio con l’interessamento di, almeno per ora, 65 nazioni, più della metà della popolazione mondiale, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale. Numeri che promettono di surclassare persino il famosissimo “Piano Marshall” varato dagli Usa per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale e che portano questo nuovo progetto a diventare, probabilmente, la più significativa opera di sviluppo dell’epoca contemporanea.

Intanto negli annali è già entrato il Belt and Road Forum for International Cooperation che si è tenuto a Pechino il 14 e 15 maggio, in quanto la Cina è stata capace di far convergere nella capitale 29 capi di Stato e di governo e i capi delle più importanti organizzazioni internazionali proprio per promuovere questa rinascente via della seta. La rilevanza del Forum sta nel fatto che attraverso di esso la Cina, per la prima volta concretamente, si propone di costruire un'alternativa multilaterale agli attuali consessi internazionali creati all'indomani della fine del secondo conflitto mondiale e tradizionalmente dominati dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Entro il 2049, in occasione del centenario della fondazione della Repubblica popolare, la Cina spera di aver creato, attraverso la realizzazione della Belt and Road, un sistema di partenariati e alleanze che farebbero di Pechino quello che Washington è stato in questi ultimi 70 anni: il perno dell'ordine mondiale. Un progetto così ambizioso ed audace che porta con se domande, e anche alcune critiche, certo è però che Pechino è intenzionata a crederci totalmente e ad inondare di investimenti per i prossimi anni quanti accetteranno di far parte di questo grandioso progetto: 4-6 trilioni di dollari nei prossimi decenni. Una cifra talmente elevata che nessun altro paese al mondo riuscirebbe, in questo momento, anche solo a immaginare di poter stanziare.

La Nuova Via della Seta è un progetto inclusivo non solo perché cerca, giocando nuovamente la carta dello sviluppo trainato dagli investimenti prima e dall'export poi, di aiutare i paesi poveri che si trovano sulla rotta Cina-Europa a non rimanere fuori dai giochi ma, al contrario, a partecipare alla nuova maratona di crescita e sviluppo. Ma è inclusiva anche perché, come precisato sul sito dedicato ad OBOR, “La via della Seta è stata proposta dalla Cina, ma non è un assolo della Cina”. Il progetto, mosso ovviamente anche da interessi interni, combina così almeno due grandi obiettivi del governo cinese: sostenere la domanda per le proprie aziende che hanno fame di grandi progetti infrastrutturali (come le società attive nei treni ad alta velocità, nonché nuovi sbocchi in export per l’eccesso di capacità produttiva) e attrarre sempre più paesi nell’orbita dell’influenza cinese, consentendo inoltre a Pechino di rafforzare la sua egemonia economica e tecnologica sull’intera regione eurasiatica, in contrapposizione all’influenza USA che resta ancora solida sulle direttrici commerciali transatlantiche.

La strategia messa a punto dal Governo cinese, e resa pubblica per la prima volta dal Presidente Xi Jinping a fine 2013, si struttura su due diverse direttrici e 5 rotte: la prima, terrestre, è chiamata The Silk Road Economic Belt e collegherà i centri produttivi della Cina Meridionale con i mercati di consumo europei tramite ferrovia, attraverso Asia continentale e Russia; Cina e Medio Oriente attraverso l’Asia centrale e Cina con Sud Est Asiatico e India. Il secondo ‘braccio’ è quello marittimo, ovvero The 21st Century Maritime Silk Road, tramite la quale le merci cinesi salperanno dai porti del Paese per raggiungere il Mediterraneo via Suez e il resto dell’Asia attraverso il Mar Cinese Meridionale.

E l’Italia in questo grande progetto potrebbe diventare un punto cruciale visto che il Mediterraneo è considerato il punto terminale della Via della Seta marittimo. Appare evidente, sfogliando le diverse rappresentazioni grafiche della Belt and Road Initiative circolate negli ultimi anni, che l’approdo più naturale possa essere proprio l’Italia, posizionata sopra il Canale di Suez e quindi preferibile varco di accesso delle navi cariche di prodotti cinesi al Mar Mediterraneo. Al momento un porto ‘eletto’ formalmente a tale scopo non c’è ancora ma il Presidente del Consiglio Gentiloni durante lo svolgimento a maggio del “Belt and Road Forum” ha proposto Trieste, Venezia e Genova, tre dei principali scali merci nazionali, come punto di arrivo della “The 21st Century Maritime Silk Road” (la tratta marittima della BRI). “È una storia che va avanti da secoli - aveva sostenuto il presidente del Consiglio prima di avviarsi al Forum - e mentre la capacità di trasporto dei container via terra è limitato, servono i porti per collegare rapidamente l’Europa e credo che nessuno ne abbia come l’Italia in questo momento. Abbiamo un’ offerta fortissima che viene soprattutto da Trieste e Genova, che sono collegate con i corridoi ferroviari all’Europa. Ma anche Venezia per ragioni culturali e turistiche. La nostra capacità portuale è lì”. 

La rinnovata centralità del Mare Nostrum è stata favorita dall’espansione del Canale di Suez, dal nuovo “gigantismo navale” (navi da 13.000 fino a 22.000 TEU che solo il Canale di Suez può ospitare) e dalle alleanze tra gruppi globali dello shipping. La competizione via acqua, per accaparrarsi i container cinesi, è quindi più agguerrita che mai e se l’Italia non si doterà di infrastrutture adeguate, in particolar modo per quanto concerne l’efficienza di porti e di infrastrutture per la retroportualità, potrebbe essere messa in secondo piano da altri porti europei. C’è ad esempio una via che, passando dal porto greco del Pireo (che ha accolto ultimamente molti investimenti cinesi), risale attraverso i Balcani e risale in Germania, che potrebbe rubare all’Italia un ruolo di primaria importanza su questa nuova via. La concorrenza del Pireo, ma anche dei porti nord-europei, è già costata la perdita di volumi di traffico per i porti italiani. Venezia e Trieste, nonostante abbiano raddoppiato negli ultimi anni la capacità di traffico container, stanno sviluppando autonomamente strategie per competere efficacemente nel lungo termine ampliando le loro strutture e la capacità di gestire volumi crescenti di merci, ma per diventare alternative credibili al Pireo servirebbero ulteriori e corposi investimenti. Da analizzare sono però anche gli ultimi investimenti cinesi sul territorio italiano, aumentati considerevolmente negli ultimi anni, per i quali non sarebbe strano pensare che siano stati pianificati con il lancio della nuova Via della Seta. Ad ottobre 2016, per esempio, il gruppo COSCO, la principale conglomerata marittima cinese, controllata dallo Stato, ha acquistato il 49% del nuovo terminal container in fase di realizzazione a Vado Ligure, nei pressi di Savona.

L’accresciuta centralità del Mediterraneo all’interno della nuova Via della Seta è dunque un’opportunità per il nostro paese, che si trova nella posizione ideale per distribuire le merci prodotte in Asia e raccogliere i prodotti europei da esportare nel resto del mondo, ma dobbiamo metterci in grado di cogliere l’opportunità investendo in un sistema integrato di infrastrutture (porti, ferrovie, autostrade) più moderno per diventare uno snodo affidabile e efficiente nel sistema di interconnessione tra Europa e Asia. 

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Via della seta