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Siberia, nel disastro ambientale in cui brucia addirittura il circolo polare artico

Mentre in Italia diventa record il numero degli incendi divampati dall’inizio dell’anno (circa 295 roghi, praticamente il triplo dello scorso anno nello stesso periodo) a discapito di quanto relativamente poco il dramma è stato raccontato sui media
nazionali, nel circolo polare artico è bruciata, e continua ancora in diverse zone, un’area grande quanto la Grecia.

In Siberia, infatti, roghi di proporzioni mai viste, rischiano di accelerare lo scioglimento dei ghiacciai, un’emergenza climatica che non minaccia solo la zona interessata ma il Pianeta intero. Non è la prima volta che si sviluppano incendi in queste zone nel periodo che va da maggio a ottobre, ma il fenomeno adesso è totalmente fuori controllo. I mesi di giugno e luglio sono stati, infatti, i più caldi della storia (tra quelli mai registrati) ed hanno contribuito a mandare in fumo, letteralmente, milioni di ettari di boschi in uno dei Paesi più verdi del mondo, la Russia. Quattro milioni di ettari, solo finora. Una superficie grande quanto la Lombardia e il Piemonte messe insieme, molto più del Belgio. Eppure, la situazione è stata a lungo ignorata, e in parte continua a esserlo.


In Russia oltre il 90 per cento degli incendi avviene solitamente nelle cosiddette "zone di controllo", ovvero aree in cui la legge non prevede che debbano essere spenti. Molti degli incendi che quest'anno stanno divampando nelle "zone di controllo" avrebbero potuto però essere estinti in fase precoce, il che avrebbe ridotto significativamente l'area interessata dagli incendi e le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Così per più di un mese le amministrazioni locali russe sono
rimaste a guardare, anche perché un regolamento interno impedisce che si possa intervenire finché i roghi non minacciano i centri abitati
.

Tradotto: se i costi delle operazioni di estinzione superano i possibili danni causati dai roghi è opportuno stare fermi. L’invio dell’esercito a sostegno dei vigili del fuoco e dei forestali è arrivato quindi solo dopo che nel Paese (e soprattutto sui social) cominciava a montare la protesta per il mancato intervento da parte del governo. E solo dopo che il fumo nero proveniente dalle foreste bruciate ha cominciato a lambire anche il cielo di Mosca (dopo avere completamente offuscato quello delle città siberiane di Kemerovo e Krasnoyarsk).


Nelle regioni andate a fuoco, le temperature sono state di 8 e 10 gradi più calde rispetto alle medie registrate tra il 1981 e il 2010. Il caldo inusuale asciuga terre normalmente ricche d’acqua che diventano così infiammabili: è il caso, ad esempio,
dei depositi naturale di torba come nel 2010, in Russia, quando alcune aree ricche di torba hanno preso fuoco dopo essere state colpite da un fulmine: in quel caso l’incendio che ne è scaturito è stato domato solo dopo settimane. E questo ha fatto sì che il terreno si inaridisse ulteriormente e le stoppe andassero a fuoco scatenando gli incendi, provocati principalmente dai fulmini (anche se la autorità stanno indagando per capire se alcuni dei roghi possano essere di origine dolosa). Le fiamme favorite dalle alte temperature, con massime anche sopra i 30 gradi Celsius, vengono poi sostenute dal forte vento che l'ncendio stesso autoproduce.

Aumento delle temperature e roghi sono fenomeni, secondo diversi scienziati, tra loro connessi: diffondendosi nell’aria durante gli incendi i gas inquinanti ed altri composti organici oltre a provocare danni per la nostra salute, probabilmente creano un circolo vizioso in cui rendono favorevole nuovamente il propagarsi di nuovi incendi. Uno degli effetti collaterali di questa catastrofe è la produzione di "black carbon", ovvero particelle nere che rischiano di finire nell'Artico e depositarsi sul ghiaccio riducendone l'albedo (il potere riflettente di una superficie) e facilitando così l'assorbimento di calore, contribuendo ulteriormente al riscaldamento globale. Il fenomeno sta interessando numerose regioni dell'Artico, come l'Alaska e la Groenlandia.

Spegnere incendi che hanno raggiunto dimensioni così estese in regioni per di più dotate di poche infrastrutture, prime tra tutte le strade, è compito ora arduo, se non impossibile. Quanto ci vorrà adesso per controllare il fuoco ancora non si sa.

"Gli incendi boschivi nella parte orientale del Paese hanno da tempo smesso di essere un problema locale", ha dichiarato Greenpeace, nella sua edizione russa, in una nota. “Si è trasformato in un disastro ecologico con conseguenze per l'intero Paese”. Dall’inizio di giugno ci sono stati più di 100 incendi di lunga durata nel circolo polare artico, che hanno emesso nell’atmosfera 50 megatonnellate di biossido di carbonio, l’equivalente di emissioni annue totali della Svezia. Secondo
l'associazione ambientalista, quest'anno sono bruciati poi quasi 12 milioni di ettari, con significative emissioni di CO2, la cui capacità di essere assorbita e a sua volta ridotta dalla riduzione delle foreste causata dai roghi. Secondo Greenpeace Russia, infatti, il disastro ha superato i 4,5 milioni di ettari di foresta con l’emissione in atmosfera di più di 170 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

È da anni che scienziati e ambientalisti cercano di attirare l’attenzione dei governi sui rischi dell’innalzamento delle temperature nelle aree subpolari. Il caso della Siberia non è isolato: anche in Alaska, da giugno in poi, si sono scatenati numerosi incendi. Gli scienziati non hanno esitato a definire «senza precedenti» la situazione, perché anche se simili roghi non sono insoliti a queste latitudini, quest’anno sono più precoci e più estesi che mai. Un disastro questo che, secondo gli ambientalisti, contribuirà ad accelerare persino lo scioglimento dei ghiacciai dell’Artico. Un disastro locale che, come è già successo in passato, basti ritornar con la mente a Chernobyl, rischia di trasformarsi in un problema mondiale.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Siberia, nel disastro ambientale in cui brucia addirittura il circolo polare artico