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Coronavirus e nuovi assetti mondiali

Con il crescente aumento dei casi di Coronavirus in tutto il mondo e milioni di persone che si trovano nelle proprie abitazioni in autoisolamento, questa epidemia è diventata veramente un evento di portata globale. Se da un lato le questioni più importanti sono senz’altro quelle che riguardano la crisi sanitaria e che implicano la salute delle persone, dall’altro non si può ignorare il fatto che sul lungo termine le conseguenze maggiori si avranno sotto il profilo economico e geopolitico potendo generare degli scenari assolutamente differenti rispetto alla situazione pre-Coronavirus.

In particolare, sembra che la posizione egemonica degli Stati Uniti non sia poi così solida. I vari passi falsi commessi da istituzioni chiave, dalla Casa Bianca e dal Dipartimento per la Sicurezza Nazionale ai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), hanno minato la fiducia nella capacità di governance degli Stati Uniti. Anche le dichiarazioni pubbliche del presidente Donald Trump hanno ampiamente contribuito a portare confusione e a diffondere incertezza circa la situazione. Senza contare il fatto che sia il settore pubblico sia quello privato si sono dimostrati poco preparati a produrre e distribuire gli strumenti necessari per fronteggiare l’emergenza. Tutto questo, a livello internazionale, non ha fatto che amplificare quella che è sempre stata una tendenza della presidenza Trump, ossia il voler fare tutto da solo escludendo altri attori nazionali e internazionali. Un atteggiamento di questo tipo, in seno alla situazione in atto, rischia però di mostrare l’inadeguatezza degli Stati Uniti nel guidare una risposta globale alla pandemia. Lo status di leader degli USA, infatti, si basa sulla ricchezza e sul potere, ma anche sulla capacità di mostrarsi come una potenza solida e solidale che nelle difficoltà guida gli altri paesi, tramite forniture di beni pubblici globali e volontà di mettere insieme e coordinare una risposta globale alle crisi. Con il coronavirus, invece, questo non sta avvenendo. Ed è qui che si insinua la Cina.

La Cina, infatti, può sfruttare “il vantaggio di poter uscire prima dalla crisi, per cambiare, anzi ribaltare lo scenario geopolitico. Se fino a qualche settimana fa era vista come la nave che affonda da abbandonare al più presto (e i cinesi erano considerati gli untori da chiudere fuori dalle nostre porte), ora al contrario Pechino per molti può diventare un’ancora di salvezza. È esattamente quello che è avvenuto in questi giorni con gli aiuti che la Cina ha fornito all'Italia, che è stata intesa da molti osservatori come un’operazione di pr e di soft power. In altre parole: la Cina vuole scuotersi di dosso la nomea di Paese da cui è partito il contagio e scende in campo mostrando il suo lato più generoso: la ‘diplomazia delle mascherine’, come già viene soprannominata, che vede l’Italia tra i principali beneficiari” [1].

Dopo la guerra dei dazi, tra Usa e Cina, la competizione si è spostata sulla questione Covid-19 e non si può non notare come tra i due colossi dell’economia mondiale vi sia un abisso nella gestione politica della pandemia. Il presidente dell’Osservatorio Asia di Agi, Romeo Orlandi, a tal proposito ha fatto notare come “di fronte alle esitazioni dell’UE e alle posizioni non coerenti di Trump e Johnson, anche solo l’invio di mascherine o di alcuni medici rappresenta un messaggio mediatico che l’Italia mostra di apprezzare […]. Roma è per Pechino un cuneo nell’UE da usare a livello negoziale” [2].

Una rivista come «Foreign Affairs», emanazione di un circolo di circa 1.400 persone tra banchieri, politici, uomini d’affari e intellettuali che ha influenzato la politica estera degli Stati Uniti a partire dal 1921 e che mai ha dubitato riguardo la necessità e l’appropriatezza di una leadership globale americana, anche una rivista come la loro, ha pubblicato poco più di una settimana fa un articolo intitolato “Coronavirus Could Reshape Global Order” [3]. In questo articolo viene messa a tappeto la gestione Trump dell’epidemia negli Usa, sottolineando come sia venuta meno quella capacità tutta americana, come dicevamo poco sopra, di gestire i problemi interni facendosi guida per il resto del mondo, dando una risposta internazionale.

Ciò che gli Stati Uniti dovrebbero fare è cooperare con Pechino per trovare insieme una soluzione alla pandemia: “[…] there is much Washington and Beijing could do together for the world’s benefit: coordinating vaccine research and clinical trials as well as fiscal stimulus; sharing information; cooperating on industrial mobilization (on machines for producing critical respirator components or ventilator parts, for instance); and offering joint assistance to others” [4].

Se oggi è la Cina che può aiutare il mondo, gli Stati Uniti devono mostrarsi cooperanti e aperti per vincere, domani, la più grande partita degli equilibri geopolitici mondiali arrivando primi nella scoperta del vaccino, puntando sulla loro superiorità a livello scientifico e tecnologico. Altrimenti si darà in mano la partita alla Cina, che ha messo in campo una strategia molto più sofisticata e indiretta. “Pechino continua a esaltare la grande vittoria del Partito Comunista sul virus. Punta sulla volontà di cooperare con tutti e di fornire loro medici e materiali sanitari. L’obiettivo è rafforzare il peso internazionale di Pechino, divenuto campione del multipolarismo. Xi Jinping ha dato segni d’irritazione solo con l’espulsione, senza clamori, di vari giornalisti americani che contestavano trucchi e astuzie della sua ‘narrativa’, che aveva trasformato un disastro in un successo comunicativo e di prestigio. La strategia cinese si è rivelata molto efficace, approfittando delle indecisioni di Trump” [5], impegnato a demonizzare il ‘virus cinese’ e a fare proclami che hanno gettato l’America nella confusione e nell’insicurezza.

Si assiste, perciò, a una fase davvero delicata a livello mondiale per quanto concerne quelli che sono gli equilibri di potere e gli USA con il loro modo di agire delle prossime settimane (e mesi) potrebbero davvero generare due scenari diversi e opposti, come prospetta anche Ed Yong dalle pagine della rivista statunitense «The Atlantic» e pubblicate in Italia sull’ultimo numero di «Internazionale»: “Si può facilmente immaginare un futuro in cui la maggior parte degli statunitensi pensa che il paese abbia sconfitto il virus. Nelle ultime settimane il livello di apprezzamento di Trump è cresciuto, nonostante gli errori che ha commesso. Se alle elezioni di novembre otterrà un secondo mandato, nei prossimi anni gli Stati Uniti si chiuderanno sempre di più, usciranno dalla Nato e da altre alleanze internazionali e non investiranno più in altri paesi. Man mano che la generazione C crescerà, le piaghe arrivate dall’estero sostituiranno i comunisti e i terroristi come nemici da combattere. Oppure possiamo immaginare un futuro in cui gli Stati Uniti avranno imparato una lezione diversa, in cui uno spirito comunitario […] spingerà le persone a non pensare più solo a sé stesse ma a guardare anche ai loro vicini, sia dentro sia fuori dal paese. […] Il paese passerà dall’isolazionismo alla cooperazione internazionale. Sostenuto da investimenti costanti e dal contributo delle menti più brillanti, il sistema sanitario migliorerà. […] La salute pubblica sarà al centro della politica estera. Gli Statu Uniti guideranno una nuova alleanza globale il cui obiettivo sarà risolvere problemi come le pandemie e la crisi climatica” [6].

È ancora tutto in gioco. Soltanto nei prossimi mesi potremmo vedere quale di queste opzioni futuribili prenderà piede. Forse nessuna delle due, ma credo che la seconda sia quella, a livello mondiale, più auspicabile.

Ammiraglio (a) Giuseppe De Giorgi

 

[1] https://www.agi.it/economia/news/2020-03-29/coronavirus-usa-cina-7928407/

[2] Ibidem.

[3] https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2020-03-18/coronavirus-could-reshape-global-order

[4] Ibidem.

[5] https://aspeniaonline.it/limpatto-geopolitico-della-pandemia-e-i-nuovi-equilibri-globali/

[6] Ed Yong, La superpotenza malata, «Internazionale», 3-9 aprile 2020.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Coronavirus e nuovi assetti mondiali