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Da Lepanto a Irini

Nel complicato quadro geo-politico della storia moderna, senz’altro la battaglia di Lepanto del 1571 risulta essere una delle più note e citate. Una battaglia che ha visto contrapporsi la flotta dell’allora vastissimo e potentissimo Impero Ottomano con quella della Lega Santa costituita da Venezia, Stato Pontificio, la Spagna di Filippo II, Genova e dalla maggioranza dei Regni, Ducati e Granducati della penisola italiana. L’avvenimento fu esaltato dalla Cristianità come la vittoria delle vittorie sui Turchi.

Di qui, la nascita del mito della battaglia di Lepanto che nella memoria collettiva venne raccontata alla stregua di una seconda Poitiers (storica battaglia del 732 d.C. con la quale i franchi di Carlo Martello respinsero l’avanzata dell’esercito arabo-berbero di fede musulmana in Europa). In realtà la portata strategica della vittoria sulla flotta Ottomana fu presto compromessa dalla volontà spagnola di contenere il rischio di un’espansione della Serenissima nell’entroterra italiano che metteva a repentaglio l’influenza spagnola in Italia.

Per avere più chiaro ciò di cui si parla, però, è necessario senz’altro fare un passo indietro e indagare il contesto storico in cui avvennero i fatti. Circa un secolo prima della fatidica battaglia, era iniziata una fase di grande espansione per l’Impero ottomano che con la conquista di Costantinopoli, nel 1453, aveva continuato ad allargare i propri confini conquistando la Siria, l’Egitto, fino ad arrivare – sul fronte africano – alla Tunisia e all’Algeria e – sul fronte europeo – alla Moldavia e all’Ungheria. Il Mediterraneo era attraversato da potenti flotte Ottomane le cui scorrerie mettevano in discussione l’influenza economica e politica delle Repubblica di Genova, di Venezia, della Spagna e della Francia, conquistando molte isole del Mediterraneo, strategicamente importanti, come Rodi e Malta.

È in questo contesto che i Turchi rivendicarono il possesso di Cipro, all’epoca sotto il controllo di Venezia. L’occupazione turca si concretizzò dopo una serie di scontri sanguinosissimi contro le truppe veneziane che combatterono eroicamente. I turchi, forti di un contingente di quasi 90.000 uomini, riuscirono dopo essere stati respinti inizialmente a Limassol a catturare Nicosia, la cui guarnigione e gli abitanti furono massacrati. La testa del Comandante Veneziano della piazza di Nicosia Enrico Dandolo fu tagliata e inviata al Governatore Veneziano dell’Isola e rettore della città di Famagosta, l’ammiraglio veneziano Marcantonio Bragadin. Dopo aver respinto gli assedianti, terminati viveri e munizioni la guarnigione si dovette arrendere in cambio però della promessa di poter mettere in salvo le famiglie dei superstiti. La promessa non fu mantenuta e Marcantonio Bragadin fu scuoiato vivo e appeso sugli spalti. Successivamente caddero Creta, Cefalonia e Zante. L’avanzata Turca si avvicinava ormai pericolosamente all’Adriatico.

Contemporaneamente corse ai ripari Papa Pio V, mettendo in atto un’abile operazione diplomatica, e convincendo Filippo II a sposare la causa veneziana per dare vita a una Crociata Navale contro i turchi, unendo le sue forze navali a quelle di Venezia e del Papato. Filippo II, nonostante i numerosi fronti di battaglia aperti (le Fiandre contro i principi protestanti e la preparazione di quella che sarà l’Invincibile Armada da schierare contro l’Inghilterra di Elisabetta), accettò. L’alleanza fu chiamata la “Lega Santa”.

Gli italiani costituivano una componente significativa degli equipaggi e degli ammiragli in comando. Parteciparono infatti le navi della Serenissima, che forniva da sola la metà della flotta a disposizione della Lega Santa, del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana, del Ducato di Urbino, del Ducato di Ferrara e del Ducato di Mantova.  Il Comando della flotta fu affidato a Don Giovanni d’Austria con Colonna come suo vice. Il “corno destro” fu affidato all’ammiraglio genovese Andrea Doria, il corno sinistro all’ammiraglio veneziano Agostino Barbarigo, la retroguardia fu assegnata allo spagnolo Alvaro de Bazan e Santa Cruz, l’avanguardia all’ammiraglio spagnolo Giovanni Cardona.

I due schieramenti si affrontarono il 7 ottobre del 1571 con circa 200 galee per parte e un dispiegamento di uomini che si avvicinava verosimilmente alla cifra di 100 mila. L’esito della battaglia fu una schiacciante vittoria della Lega Santa. Furono catturate 137 galee Ottomane, altre 50 furono affondate. Furono liberati circa 15.000 europei tenuti in schiavitù dai turchi. Le perdite della Flotta della Lega Santa furono una ventina. Lepanto fu l’ultima grande battaglia navale fra flotte di Galee. La vittoria diede slancio e fiducia al mondo cristiano, affermandosi per sempre nella mitologia occidentale, talmente pervasiva da rimanere ancora tutt’oggi nelle coscienze collettive come modello di un’impresa in grado di compattare forze fra loro normalmente disunite contro un pericolo comune. Fu anche una prova di coraggio e di perizia marinaresca degli italiani che si batterono benissimo.

Sotto il profilo strategico la vittoria non ebbe tuttavia le conseguenze che avrebbe potuto avere poiché, arginata per il momento la minaccia turca, riprese la competizione fra Spagna e Venezia. La prima non vedeva di buon occhio l’espansione Veneziana verso la terraferma italiana con le possibili tentazioni di dare corso a un processo unitario nella Penisola, a scapito degli interessi Spagnoli in primo luogo.  I dissidi nel mondo occidentale dopo l’avvio della Riforma protestante andavano crescendo, tanto che nella Lega Santa non si erano voluti coinvolgere i principi protestanti considerati dai cattolici come principes haereticorum, come si può leggere nei Commentari della Guerra di Cipro di Bartolomeo Sereno.

Più dei Turchi furono quindi le divisioni e i contrasti fra gli Stati Europei a sminuire la portata strategica di una vittoria così netta come quella di Lepanto. L’espansione Ottomana riprese vigore per arrestarsi solo alla fine del 1600 con il trattato di Karlowitz del 1699, al termine della guerra Austro-Turca (1683.-1699), dopo essere stati respinti sotto le mura di Vienna nel 1683 e sconfitti nella battaglia di Zenta (1697) dalle truppe al comando del Principe Eugenio di Savoia.

Perché ricordare Lepanto? In primo luogo, perché sono tornati i Turchi nel nostro mare, anzi i neo-ottomani. E poi perché in mare a contrastare gli interessi neo-ottomani c’è, sarebbe meglio dire ci sarà, forse, una flotta europea, della missione IRINI.

Erdogan non fa misteri circa la sua visione del destino della Turchia moderna. Rioccupare le province che furono della Sublime Porta[1]. Fra cui la Libia. Che prima di essere italiana era ottomana. Un retaggio che Erdogan non ha mai digerito.

All’epoca di Lepanto, agli Ottomani in espansione si contrappose la Lega Santa, una sorta di “coalition of the willing” ante litteram.  Oggi, dopo la conferenza di Berlino, l’Europa scende nuovamente in mare in una missione di contenimento dell’espansione turca in Libia e nel Mediterraneo centrale. Con qualche differenza; a Lepanto le potenze Europee schierarono 200 navi da guerra, oggi con IRINI una sola (francese), con la promessa di Italia e Grecia di altre 2. Malta nel frattempo si è ritirata. La Germania e la Spagna non manderanno navi, ma solo aerei da pattugliamento delle rispettive Marine. Più di una flotta, una Squadriglia.  Tre navi, a meno di ripensamenti. Di certo c’è che al momento in cui scrivo in mare c’è solo una nave.

Le similitudini terminano qui. A Lepanto i Turchi furono sbaragliati dalla flotta cristiana, con il contributo determinante di marinai italiani guidati da brillanti ammiragli veneziani e genovesi. Oggi l’esito sarebbe probabilmente diverso. In primo luogo, perché mancherebbe la volontà politica di battersi, prima ancora della forza militare, anch’essa peraltro molto modesta.

Gli Italiani a Lepanto, pur divisi in diversi Stati misero da parte le contrapposizioni, riuscendo a essere determinanti per quantità di uomini e di mezzi impiegati, per il coraggio e lo spirito combattivo.

Oggi l’Italia, per il momento ancora parte del G7 e fra le Nazioni con il PIL più alto del mondo, appare confusa, debole, incerta, ripiegata in se stessa, corrosa dalle divisioni interne, fuori da tutti i giochi, autoesclusasi dalla Libia, come dalla Somalia.

In comune con quanto successe dopo Lepanto vi è la divisione dell’Europa che non riesce anche nei momenti più difficili a trovare una strategia comune. Allora la Spagna, dopo la vittoria di Lepanto, scelse di lasciare sola Venezia a combattere con la superpotenza Ottomana, sminuendo la portata strategica della grandiosa vittoria navale della Lega Santa. Oggi è la Francia a remare contro l’Italia, con la Germania che, dovendo scegliere, sosterrebbe probabilmente la Turchia. Tanto è vero che non invierà navi, ma solo un aereo da pattugliamento.

In mare non c’è la potente flotta della Lega Santa, ma una piccola squadriglia di 2, forse tre navi con una missione di embargo, sotto egida ONU, dichiaratamente imparziale, nei fatti impossibilitata a contrastare l’ingresso di armi (arrivano via terra) alla fazione ribelle di Haftar; sottodimensionata e con ogni probabilità dotata di regole d’ingaggio troppo deboli per fronteggiare le forze navali turche che da mesi presidiano le acque della Libia e che difficilmente assisterebbero passivamente al tentativo di bloccare carichi di armi diretti a Tripoli. Una missione che rischia di essere solo di facciata. L’ennesima occasione persa, per L’Italia e per L’Europa.

Ammiraglio (a) Giuseppe De Giorgi

[1] Sublime Porta  Traduzione del termine Bāb-i ‛ālī, che designava il governo dell’Impero ottomano, in particolare l’ufficio del gran visir e delle relazioni con l’estero. Il nome si mantenne nelle cancellerie europee fino alla caduta dell’Impero e all’abolizione del sultanato (1922) – da Enciclopedia Treccani.

 

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Da Lepanto a Irini