Libia: situazione sempre più complessa
L’agenzia di stampa Reuters [1] fa sapere che Stephanie Williams, inviata delle Nazioni Unite in Libia incaricata di presiedere i negoziati per la pace incominciati il 9 novembre scorso a Tunisi, ha dichiarato in una conferenza stampa che si è raggiunto un primo accordo preliminare affinché si tengano tra 18 mesi delle elezioni valide per l’intera Libia. Ovviamente, seppur questo dato sia incoraggiante, non dobbiamo farci ingannare. Non significa affatto che si sia raggiunto un accordo di pace, né che le elezioni si terranno con certezza alla scadenza di questo tempo, né tanto meno che non ci siano ulteriori violazioni delle molteplici tregue che di tanto in tanto vengono siglate (l’ultima risale al mese scorso), per poi essere puntualmente violate, mandando all’aria ogni tentativo di mediazione.
Al di là dei negoziati in corso, però, a che punto è la situazione libica? Cosa sta accadendo nel Paese spaccato in due (Tripolitania e Cirenaica) e dilaniato dalla guerra civile ormai dal 2014? L’Europa e l’Italia stanno riuscendo a ritagliarsi un ruolo di primo piano nella questione libica (che come sappiamo è di fondamentale importanza per gli equilibri del Mediterraneo), oppure la longa manus della Turchia di Erdogan da un lato e della Russia di Putin dall’altro la fanno da padrone?
Se torno, infatti, ancora una volta nelle pagine del mio blog a parlare di Libia è perché la situazione si fa sempre più seria e complessa. Per menzionare solo quattro degli ultimi gravi fatti accaduti in terra libica vediamo, nell’ordine:
- il sequestro dei pescatori di Mazara del Vallo (ormai da due mesi ostaggio dell’uomo forte della Cirenaica);
- la Turchia di Erdogan che prende il controllo della Guardia costiera libica facendo, per altro uso delle nostre navi;
- l’uccisione dell’avvocatessa Hanan al Barassi, colpevole di aver denunciato aspramente e pubblicamente la condotta della famiglia Haftar (il particolare del figlio Saddam);
- la richiesta da parte della CPI (Corte Penale Internazionale) che l’ONU adotti misure concrete per mettere fine all’impunità che regna in Libia, assicurando giustizia per coloro che si siano macchiati di gravi reati e di crimini contro l’umanità [2] (fatto che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che la condizione che vige in Libia è di aperta violazione dei diritti umani basilari).
Se poi ci spostiamo in un’ottica italiana e analizziamo la questione dal nostro punto di vista, non può non rendersi evidente come in questa “partita” stiamo rivestendo un ruolo sempre più marginale, scavalcati sia dalla stessa Libia sia dalla Turchia che entrambe si fanno beffa degli accordi stipulati con il Memorandum.
Concordo, infatti, con le parole di De Bellis che sulle pagine di “Domani”, scrive: «Un anno fa, in questi giorni, il governo si trovava a un crocevia: poteva rinnovare il memorandum d’intesa con la Libia o metterlo da parte. Decise di mantenerlo ma promise cambiamenti. […] A un anno di distanza, occorre chiedersi che ne è stato di quell’impegno. Effettivamente, nel febbraio scorso, il governo italiano ha inviato a Tripoli una proposta di modifica del memorandum. C’erano alcune belle parole, ma era una proposta all’acqua di rose: proponeva soltanto il “progressivo superamento” e parallelo “adeguamento” dei centri di detenzione, legittimandoli piuttosto che pretendendone l’immediata chiusura, e rimestava la solita promessa di facilitare il lavoro delle agenzie Onu, come se queste potessero fermare gli abusi. Nei mesi successivi il governo di Tripoli ha però rifiutato la pur timida proposta italiana. E a fronte di tale rifiuto, l’Italia ha fatto spallucce, continuando l’assistenza con la fornitura di nuove motovedette, la proroga delle missioni militari, e lo stalking delle Ong impegnate in mare. Nei fatti, la strategia di esternalizzazione della frontiera in Libia è stata portata avanti con tale continuità da far pensare che le promesse in materia di diritti umani fossero poco più di un esercizio retorico» [3].
Tali parole si dimostrano tanto più veritiere se affiancate al fatto che di fronte a un atteggiamento tanto tentennante e accondiscendente per parte italiana ha fatto da contraltare la furba e spregiudicata azione turca che si è insinuata laddove noi abbiamo lasciato spazio di manovra. Senza contare che la situazione dei rifugiati, come denunciato dal Tribunale internazionale che ha rilasciato il nuovo report investigativo su Tripoli, non solo non è migliorata, ma anzi va peggiorando. Chi viene intercettato in mare, invece che essere portato in un porto sicuro viene trasferito dalla Guardia Costiera Libica nei Centri di Detenzione e di moltissime persone è stata persa ogni traccia. Chi è invece passato da questi luoghi e ha potuto raccontare la propria esperienza parla di torture e sevizie.
La procuratrice della Corte dell’Aja, Fatou Bensouda, nonostante le varie polemiche e depistaggi circa il negoziato segreto tra Italia ed esponenti delle milizie libiche, ha anche qualche parola di elogio verso la giustizia italiana e in particolare per «la condanna da parte del Tribunale di Messina di tre persone a 20 anni di reclusione per crimini commessi contro migranti a Zawiyah»[4], ossia i tre nordafricani assoldati per le torture nel campo costiero di prigionia governativo. «La prigione è gestita per conto del governo di Tripoli dalla milizia Al Nasr, e in particolare dal comandante Bija, recentemente arrestato e della cui sorte non vi sono notizie, insieme ai fratelli Kachlav, i capiclan che controllano il contrabbando di petrolio, di esseri umani, di armi e recentemente anche droga in accordo con le mafie italiane»[5], si continua a leggere nel Dossier dell’Aja. Di questi fatti gravissimi, insomma, ci sono le prove e sono scritte nero su bianco sul dossier investigativo presentato dal Tribunale internazionale, dove, tra l’altro, si parla anche delle fosse comuni ritrovate a Tharouna e a sud di Tripoli.
Come possiamo lasciare, come Italia e come Europa, che una simile situazione continui a perpetuarsi, abbandonandola, anzi, in mano a potenze straniere con folli mire espansionistiche che non vedono l’ora di spodestarci dal Mediterraneo per assumerne il controllo, senza avere alcun interesse nella salvaguardia delle persone e dei loro diritti umani? Non è difficile capire che non è più tempo di parole. Perché la portata geopolitca di questi conflitti può essere deflagrante e non si può restare in una posizione attendista e subordinata, laddove invece sarebbe il caso di pensare a un’azione congiunta delle forze europee affinché si possa sviluppare un progetto serio di riequilibrio dei Paesi del sud del mediterraneo per non lasciarli in pasto alle rapaci mire di Turchia e Russia.
Ammiraglio (a) Giuseppe De Giorgi
[4] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/libia-abusi-e-complicita-estere
[5] Ibidem.